DAL FRIULI CHE TITO STAVA PER INVADERE,L'ALLENATORE CAPELLO: ERO UN UOMO FINITO. POI L'HO CONOSCIUTO

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INES TABUSSO
00lunedì 14 novembre 2005 11:28
IL TEMPO
13 novembre 2005

«Ero un uomo finito Poi l’ho conosciuto»
dall'inviato
SORRENTO

«E quando metti la mano al petto, lì, sul tricolore....». Si ammutolisce Fabio Capello. China il volto in avanti, a nascondere le lacrime. In sala scatta l'applauso. Sono venuti qui per sentire lui, l'allenatore della Juventus. Ma anche l'ex allenatore del Milan, dei mille successi. E della Roma. Già, la Roma. Quando la coordinatrice del dibattito, Irene Pivetti, chiede ai giovani in platea se hanno domande da fare, parte la gara all'urlo più forte: «Torna al Milan», «Perché non gioca Del Piero?», «Vieni all'Inter!», «Sì, all'Inter!». Lui sorride e fa finta di nulla. Poi qualcuno grida: «Torna a Roma». Capello s'irrigidisce, afferra il microfono e zittisce tutti: «Ecco, una cosa la voglio dire». Silenzio. «Roma - riprende - è il posto più difficile ed esaltante dove lavorare, perché il modo di approcciare a tutte le cose da parte dei romani è molto particolare: ci si esalta e ci si deprime in un attimo. Per capire l'Italia, bisogna prima capire Roma». E via, un sospiro e chiude il microfono. Quel peso sullo stomaco è tolto. Prima di quel momento, Capello parla per una dozzina di minuti. Scherza e ride. Gli scappa la lacrimuccia sulla bandiera nazionale e confessa: «Sapete, vengo dal Friuli. Quando avevo 7 anni si diceva che Tito stava per invaderci». Sfotte il conduttore Andrea Pezzi, che era intervenuto prima di lui e aveva detto come aveva rinunciato a un contratto de La7 per sei miliardi di lire in tre anni: «Andrea, sei il Tommasi della situazione: ti sei messo al minimo stipendio pur di giocare». Batte le mani a Manuela Di Centa: «Hai ragione, le medaglie non vanno esposte, le vittorie si portano dentro». E prende in giro Andrea Spingardi, dg Sviluppo Italia che se l'era presa coi rappresentanti dei lavoratori, e svela: «Anche io ho fatto il sindacalista alla Juve, l'anno dopo m'hanno mandato via». E si scioglie quando pensa a Berlusconi, anche se non lo nomina: «A 34 anni ero finito, poi ho avuto la fortuna di conoscere il Presidente. Mi ha fatto lui». Applausi, poi ammette: «La cosa più difficile del mio lavoro è fare il gestore dei giocatori: c'è chi a 22 anni ha già guadagnato tanto e si crede chissà chi». E chissà a chi si riferisce. F.D.O.
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